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la spesa mette in fuorigioco le quote

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la spesa mette in fuorigioco le quote

La spesa pubblica, e la sperimentazione criticata di quota 100, sembrerebbe mettere in fuorigioco il meccanismo delle quote nella riforma delle Pensioni del 2022. E virare da quota 100 a quota 41, soluzione che nelle intenzioni del primo governo Conte avrebbe dovuto essere la conseguenza logica della fine del triennio di sperimentazione, costerebbe troppo. È quanto emerge dall’analisi della spesa pensionistica aumentata, dal 2000 al 2020, del 2,8% anche se a ritmo più lento dal 2014, come normale conseguenza dei tagli della riforma Fornero di pochi anni prima.

Pensioni, nel tavolo di riforma del 2021 si eviterà lo scalone del fine quota 100La ripresa dei tavoli di discussione delle pensioni ripartirà anche dalle proposte dell’Inps per arrivare a un meccanismo che aumenti l’età di uscita, ma non troppo da dover attendere la pensione di vecchiaia dei 67 anni. Evitare lo scalone dei 5 anni tra chi farà in tempo a uscire entro la fine del 2021 con quota 100 e chi maturerà gli stessi requisiti a partire dal 1° gennaio prossimo senza poter beneficiare della misura, sarà l’obiettivo dei tavoli di confronto governo-sindacati nel prossimo autunno. E tra quota 100 e quota 41 si fanno largo ipotesi intermedie, meno costose perché più flessibili. Ma in questo caso, la flessibilità dovrà essere intesa come ricalcolo in senso contributivo dei versamenti.
Una sforbiciata al montante contributivo pur di andare in pensione prima.Pensioni precoci con quota 41: l’ipotesi naturale del dopo quota 100 è la più costosaSul tavolo delle pensioni per il 2022 sono rimaste tre ipotesi di riforma. La prima è dunque quota 41, che rimarrebbe in ogni modo la soluzione più costosa. Dai dati Inps, l’adozione dell’uscita previdenziale con 41 anni di contributi indipendentemente dall’età anagrafica, avrebbe un costo di 4,3 miliardi di euro.
È ancora presto per avanzare ipotesi affrettate su quello che sarà il confronto tra governo Draghi e parti sociali ma, ad oggi, sulla carta della spesa pubblica, i pensionamenti anticipati con revisione del montante versamenti in senso contributivo rappresenterebbero le ipotesi meno onerose e con uscita a 64 anni di età. In particolare, unitamente a 36 anni di contributi in quella che potrebbe essere la nuova quota 100, ma con il ricalcolo contributivo.
O con 20 anni di contributi per una formula di pensione anticipata già in vigore per chi abbia iniziato a lavorare a partire dal 1° gennaio 1996 e abbia un trattamento pensionistico futuro che sia di almeno 2,8 volte l’assegno sociale. L’ipotesi è di estendere anche a chi ha contributi fino al 31 dicembre 1995 la possibilità del ricalcolo contributivo pur di andare in pensione prima. Un po’ come è avvenuto negli ultimi anni per il riscatto della laurea che, per estensione dei costi ridotti ai lavoratori pre-1996, comporta l’accettazione del meccanismo contributivo puro.Pensioni anticipate da 63 anni con ricalcolo contributivo: l’ipotesi Inps comporta un taglio fino alla vecchiaiaL’altra ipotesi di riforma delle pensioni è stata lanciata nei mesi scorsi proprio dal presidente Inps Pasquale Tridico e prevede l’anticipo di uscita a 63 anni (e l’aver già raggiunto i 20 anni di contributi) per un importo minimo della pensione pari a 1,2 volte l’assegno sociale.
Ma la flessibilità in uscita comporta il “taglio” dell’assegno pensionistico misurabile con la pensione calcolata con il metodo contributivo negli anni di anticipo (dai 63 anni minimi fino al raggiungimento della pensione di vecchiaia), salvo poi ripristinare la quota retributiva dai 67 anni. Proposta, quest’ultima, che sarebbe la più economica per le casse dello Stato: meno di 500 milioni nel 2022 fino a raggiungere il massimo costo nel 2029 con 2,4 miliardi di euro.

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