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Riforma pensioni: si guarda anche al modello tedesco

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Riforma pensioni: si guarda anche al modello tedesco

Per la riforma delle pensioni si guarda anche al modello tedesco. Non che sia facilmente adattabile all’Italia, ma sarebbe sicuramente un’opzione gradita alla Merkel.Anche in Germania esiste un problema pensioni, ma diversamente dall’Italia, il debito pubblico federale consente maggiori margini di sostenibilità nel tempo senza dover stravolgere il sistema pensionistico.Le pensioni in GermaniaIn Germania le pensioni (deutsche rentenversicherung) sono mediamente più basse che in Italia, ma solo perché la percentuale dei contributi versati ammonta nella quasi generalità dei casi al 19,5% dello stipendio contro il 33% circa da noi. Al momento in Germania si va in pensione a 65 anni e 6 mesi anni (dal 2021 a 66 e per i nati dopo il 1963 a 67 anni) e vige un modello a tre pilastri. Il primo di questi pilastri è costituito dalla pensione statale, il secondo è costituito da pensioni integrative alle quali cui lo Stato contribuisce con un supporto economico ed è rivolto ai lavoratori dipendenti. Il terzo pilastro è invece costituito dalle pensioni private, a libera scelta del lavoratore. A differenza che in Italia, la pensione in Germania è da sempre legata ai contributi versati, metà a carico del lavoratore metà a carico del datore di lavoro e il sistema di calcolo è sempre stato quello contributivo, il che porta a concludere che l’importo della pensione è mediamente più basso che in Italia, meno del 50% della retribuzione.L’età della pensione in GermaniaIn Germania, come detto, si va oggi in pensione a 65 anni e 6 mesi (l’età è in aumento) o, in alternativa, con 45 anni di contributi. Ma si può uscire anche in anticipo, con le dovute eccezioni per chi svolge lavori usuranti o nelle forze armate o di polizia. I lavoratori precoci ed esposti a lavori usuranti, ad esempio, possono andare in pensione a 63 anni, ma solo se hanno 45 anni di contributi (da noi ne bastano 41). In Germania, però, è anche possibile lasciare il lavoro in anticipo, ma non prima dei 63 anni, e chi lo fa perde lo 0,3% della propria pensione per ogni mese: in un anno la percentuale sale al 3,6%. I nati prima del 1964 accedono alla pensione piena con 35 anni di contributi e 65 anni di età. La misura è penalizzante e tende a scoraggiare il pensionamento anticipato, anche se negli ultimi anni sono molti i lavoratori che lasciano anzitempo il lavoro accontentandosi di un assegno più basso. Viceversa il sistema tedesco riconosce un premio per chi posticipa il pensionamento.E in Italia?Da noi il sistema pensionistico è più rigido. Nel 2011 l’allora ministro al Lavoro Elsa Fornero tentò di introdurre con la riforma una sorta di penalizzazione, come sul modello tedesco, ma la ferma opposizione dei sindacati fece naufragare la riforma. Oggi, il governo punta a tornare sui suoi passi, visto e considerato che il sistema pensionistico italiano così come è non è più sostenibile nel medio e lungo periodo.  Quello a cui si sta lavorando è appunto a una riforma del sistema pensionistico anticipato con penalizzazione. In altre parole, visto che in Italia sui conti pubblici pesa maledettamente il calcolo della pensione col sistema retributivo, si vorrebbe introdurre l’opzione del prepensionamento solo con sistema interamente contributivo. Il modello, più che quello tedesco, è quello di “opzione donna” dove si chiede alla lavoratrice che decide di andare in pensione in anticipo di rinunciare al calcolo della pensione nella parte retributiva (periodo lavorato prima del 1996) per consentirla interamente col sistema di calcolo contributivo. Ovviamente i requisiti minimi da soddisfare saranno riparametrati sulla generalità dei lavoratori e non solo per le donne che possono oggi accedere alla pensione anticipata con almeno 35 anni di contributi e 58 anni di età (59 per le lavoratrici autonome).


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